Pietralavezzara-Paveto-Giovi-Vittoria (GE)

31 Ottobre 2020 – 26,6 km

Taccuino di marcia:

 
Nei dialetti si trovano spesso parole che meglio esprimono condizioni ambientali particolari, specifiche: oggi è una giornata “luvega”.
L’area semantica di “luvego” attiene a tutto ciò che è umido, scivoloso, vischioso, imbibito d’acqua anche senza pioggia, grigio, con le nuvole basse, senza visibilità
Con una giornata così camminare diventa un esercizio faticoso e noioso, soprattutto se l’itinerario è avvolto nella nebbia e nella foschia.
 
Cambio programma e arrivata a Pietralavezzara, nota per le cave di marmo verde che abbellirono molti portali e altari genovesi, invece di salire direttamente al Passo della Bocchetta piego a ovest, tenendomi alla stessa quota sino a Paveto. Paesini tranquilli e silenziosi, quasi disabitati, ma di storia antica. Qui passavano le direttrici verso la Valle Scrivia e qui si sono scritte pagine importanti della storia di Genova e del suo territorio: gli scavi archeologici ne hanno confermato la frequentazione costante e l’articolazione della viabilità.
 
Da Paveto raggiungo con una carrareccia di discreta pendenza l’Alta Via dei Monti Liguri in prossimità del Pian di Reste, dove – appunto – sorgeva un ospizio medievale:  mi sposto verso il Passo dei Giovi.
 
I boschi che ho attraversato sino ad ora sono il racconto visibile di attenzione e dedizione: grandi castagni esausti generano ancora i loro frutti inselvatichiti: un tributo esangue all’opera dell’uomo che li ha messi a dimora e a lungo curati.
Questi boschi che tornano selva sono il palinsesto vivente di una oscillazione di lungo periodo dell’agire umano: conquistati lentamente, addomesticati, trasformati in una fonte di reddito e sussistenza e poi di nuovo abbandonati. 
Il segno di una storia bruscamente interrotta, anche in termini culturali oltre che ambientali è dovunque: orti recintati da persiane e vecchie griglie per letti, bidoni di plastica, vasche da bagno, specchi, finestre, contenitori, auto e motorini abbandonati, baracche intorno alle quali si formano personali e domestiche discariche, disordine.
Le campagne peri-urbane sono la fotografia non della cura, ma del degrado, di interventi frettolosi, distratti, disordinati, e in fondo violenti.
 
Una volta, nel cuore del bosco, improvviso si parava un capanno: il tetto in paglia, la struttura in legno per raccogliere castagne e foglie (da usare come lettiera per le stalle) erano un tributo al bosco stesso.

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